Lo scenario socio-economico attuale, nella sua crescente globalizzazione, ha aumentato la sua dimensione competitiva coinvolgendo, sempre più, molti degli elementi costituenti e caratterizzanti l’azienda: il suo management, le sue strategie, i rapporti instaurati con gli stakeholders, le sue politiche di customer relationship management, i suoi processi endogeni ed esogeni, le attività di Benchmarking tese al suo posizionamento rispetto ai concorrenti, il ruolo delle figure aziendali e l’utilizzo delle loro potenzialità.

In questa grande partita, giocata su ampi scenari geografici, per le aziende moderne diventa di fondamentale importanza la creazione di valore per i propri prodotti, siano essi tangibili o intangibili, reso quanto più possibile percepibile ai clienti come testimonianza della qualità intrinseca dei prodotti stessi.

Infatti, se in anni passati la definizione di Qualità sarebbe stata probabilmente quella che definisce un prodotto come esente da difetti, privo di difettosità, oggi, in uno scenario complesso, concorrenziale, con surplus di offerta rispetto alla domanda, a tale definizione vanno aggiunti molteplici elementi.

La mancanza di difettosità non è più un parametro valido di confronto tra prodotti, se valutato nella sua unicità, se avulso da ulteriori parametri necessari a fornire una visione globale o più piena del concetto di Qualità.

In questo contesto di competizione globale, quindi, non può essere solo la qualità richiesta dalle norme a costituire, per le aziende in cerca di qualità identitaria, un punto di arrivo ma, inverso, essa va considerata solo un possibile punto di partenza per la costruzione del ciclo della qualità.

L’approccio alle Norme ISO 9000, infatti, se da un lato è stato per molte aziende un elemento di positività, avendo favorito in tal modo la diffusione del pensiero qualitativo, dall’altro è divenuto un limite in un periodo in cui Giappone e USA si concentrano oramai sulla qualità competitiva, strategica, cioè sulla Qualità Totale o Total Quality Management (TQM). Negli ultimi anni, infatti, spinti anche dalle pressioni e dalle scelte del marketing strategico, la qualità non è vista più come un parametro assoluto, immutabile, identitario. Oggi destinare risorse umane e finanziarie per la realizzazione di prodotti di “alta qualità” non significa più realizzare prodotti più o meno belli, esenti da difettosità, ma significa realizzare ciò che il cliente vuole in quel momento, in quel determinato contesto socio-economico, in base a quei specifici bisogni. Mutuando Peter Drucker, si cita la seguente sua definizione di qualità: “ La qualità di un prodotto o di un servizio non è ciò che il fornitore vi mette, ma è ciò che il cliente ne ricava e per cui è disposto a pagare. Un prodotto non è di qualità perché è difficile da produrre o perché è caro. Questa è soltanto incompetenza! I clienti pagano soltanto ciò che è loro utile e fornisce loro un valore. Null’altro costituisce la qualità”

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